Onorevoli Colleghi! - In un sistema democratico il governo dello Stato spetta al popolo, che lo esercita attraverso l'elezione dei suoi rappresentanti sia in Parlamento che negli enti locali; ad ogni cittadino è riconosciuto il diritto di essere eletto.
      La materia elettorale riveste un ruolo delicato e complesso poiché costituisce il presupposto su cui si fonda la democrazia; l'articolo 51 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini il diritto di ricoprire cariche pubbliche e uffici elettivi in condizioni di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge; la norma costituzionale condiziona, quindi, il diritto all'elettorato passivo alla sussistenza dei requisiti che le leggi ordinarie possono richiedere.
      Tali requisiti, proprio perché individuati con legge ordinaria, possono variare nel tempo al fine di adeguare tale materia alle differenti esigenze avvertite e recepite dalla classe politica.

 

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      Attualmente nel nostro ordinamento sono richiesti requisiti di eleggibilità differenti a seconda che si debba essere eletti in Parlamento o presso un ente locale. Tale diversità oggi non trova più giustificazione.
      Il testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 e il testo unico di cui al decreto legislativo n. 533 del 1993, che disciplinano rispettivamente l'elezione alla Camera dei deputati e l'elezione al Senato della Repubblica, prevedono come requisiti di eleggibilità il compimento dell'età richiesta e il non ricoprire determinati incarichi ritenuti incompatibili, ma nulla è detto relativamente ad eventuali condanne penali riportate; il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, invece, prevede all'articolo 58 tra le cause ostative all'eleggibilità l'aver riportato condanne definitive per reati contro la pubblica amministrazione o per reati di stampo mafioso, mentre l'articolo 68 prevede l'immediata decadenza dal mandato nel caso in cui la condanna definitiva sopraggiunga all'elezione.
      Limitare l'accesso alle cariche elettive di soggetti che abbiano riportato condanne definitive per reati contro la pubblica amministrazione o per reati di stampo mafioso è una necessità fortemente sentita anche al fine di riaprire il dialogo interrotto con l'elettorato, ormai profondamente distante dalla politica.
      Per restituire alle più alte istituzioni del Paese piena dignità morale si rende purtroppo necessario regolare con legge quanto sarebbe dovuto scaturire dalle coscienze.
      La presente proposta di legge intende assicurare, in una materia così delicata, omogeneità legislativa, uniformando sostanzialmente i requisiti di eleggibilità.
      La struttura della proposta di legge è molto semplice, in quanto procede estendendo, con i dovuti adattamenti, la disciplina relativa alle elezioni negli enti locali alle elezioni in Parlamento. L'articolo 1 stabilisce che non possono ricoprire la carica di deputato coloro che rientrano nelle fattispecie già previste dall'articolo 58 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, disciplina la sospensione e la decadenza dall'incarico per coloro che rientrano nelle ipotesi già previste dall'articolo 59 del citato testo unico e stabilisce che la perdita delle condizioni di eleggibilità causa la decadenza; l'articolo 2 estende tale disciplina anche al testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo n. 533 del 1993; l'articolo 3 disciplina l'entrata in vigore della legge.
 

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